News15 Maggio 2024 11:39

Rapporto Istat. Migliora mercato lavoro ma resta alta la quota di occupati in condizioni di vulnerabilità economica. Istruzione, Italia ultima tra Francia, Spagna e Germania per dottorati o specializzati. I DATI

Negli ultimi decenni le caratteristiche dell’occupazione in Italia sono cambiate, accompagnando l’evoluzione dell’economia e della società. Sottostanti la crescita del numero di occupati e del tasso di occupazione, avvenuta tra ampie fluttuazioni cicliche, vi sono però trasformazioni strutturali e dinamiche differenziate tra soggetti. 

Il peso dell’occupazione a tempo parziale è cresciuto quasi ininterrottamente; è aumentata l’occupazione femminile e quella delle fasce più anziane, in relazione all’allungamento della vita e al posticipo dell’età pensionabile, mentre si è ridotta quella delle fasce più giovani. La forza lavoro è oggi più istruita; si è verificata, infine, una ricomposizione dell’occupazione verso le attività terziarie. 

La direzione di questi cambiamenti è stata quasi sempre simile nelle grandi economie europee, anche se spesso con ritmi diversi: in alcuni casi la distanza dell’Italia con gli altri paesi si è accorciata o annullata; in altri, resta ancora ampia. 

Le retribuzioni reali, in associazione col debole andamento della produttività, sono aumentate molto lentamente, e nel recente episodio inflazionistico hanno perso terreno. La quota di lavoratori con basse retribuzioni annuali permane ampia, prevalentemente in associazione con la ridotta intensità lavorativa e con la durata dei contratti: fenomeni, questi, che riguardano maggiormente le donne, i giovani e gli stranieri.

I cambiamenti osservati nel lavoro sono, infine, strettamente connessi a quelli del tessuto economico, che è andato incontro a una ricomposizione settoriale e a un consolidamento del sistema all’interno di ciascuna attività, a vantaggio di quelle imprese che meglio hanno saputo cogliere i cambiamenti delle condizioni competitive, con maggior capacità di innovazione e, insieme, di attrarre forza lavoro istruita, contribuendo così alla crescita dell’occupazione e della sua qualità. 

D’altra parte, la soddisfazione per il lavoro dichiarata dagli occupati varia in funzione delle caratteristiche delle imprese in cui si lavora, mostrando l’importanza, anche da questa prospettiva, del miglioramento delle caratteristiche strutturali del sistema produttivo. 

La crescita dell’occupazione nelle maggiori economie europee

• Nel biennio 2022-2023, secondo le stime di contabilità nazionale, a fronte di un rallentamento dell’attività misurata in termini di crescita del Pil (+4,0 per cento nel 2022 e +0,9 per cento nel 2023), il numero di occupati in Italia è cresciuto a ritmi sostenuti (+1,8 per cento in entrambi gli anni).

• Nel 2023 rispetto al 2019, la crescita dell’attività economica (+3,5 per cento) è stata il risultato del contributo di 2,3 punti percentuali dell’occupazione e di 1,4 punti dell’aumento delle ore lavorate per occupato, mentre la produttività oraria misurata sul Pil ha sottratto 0,3 punti. 

• Nelle altre maggiori economie europee la crescita del Pil nello stesso periodo è stata minore rispetto all’Italia ma il contributo dell’occupazione, pure significativo, è stato accompagnato da una riduzione delle ore per occupato e, a eccezione della Francia, da un aumento della produttività del lavoro.

• Tra il 2019 e il 2023 in tutt’e quattro le maggiori economie europee il comparto dei servizi collettivi ha dato un contributo sostanziale alla crescita dell’occupazione, riflettendo anche la comune tendenza al rafforzamento dell’assistenza sanitaria e sociale indotto dalla pandemia da COVID-19.

• Nello stesso periodo, il nostro Paese si distingue per la crescita dell’occupazione nelle Costruzioni, sostenuta dall’introduzione delle detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie. In questo settore, l’occupazione è aumentata del 16,2 per cento, contribuendo per un punto percentuale alla crescita complessiva.

• Il tasso di occupazione tra 15 e 64 anni, secondo i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro, nel 2023 è stato del 61,5 per cento, guadagnando 2,4 punti percentuali rispetto al 2019. Nel confronto con le altre maggiori economie europee resta però inferiore di 15,9 punti rispetto alla Germania ed è più basso anche rispetto a quello osservato per Francia e Spagna (-6,9 e -3,9 punti rispettivamente).

• Il tasso di disoccupazione è stato nel 2023 del 6,0 per centoper l’insieme dei paesi dell’Unione europea e del 7,7 per cento in Italia. Secondo i dati preliminari, a marzo 2024 nel nostro Paese è sceso fino al 7,2 per cento.

• La crescita dell’occupazione del 2023 ha riguardato soprattutto gli occupati a tempo pieno e indeterminato.L’incidenza del lavoro a termine sul totale dei dipendenti è diminuita di 0,9 punti percentuali rispetto al 2019, al 16,1 per cento.

• La quota dei occupati part-time (17,6 per cento del totale) è in linea con la media Ue27, superiore a quella di Francia e Spagna (rispettivamente 16,6 per cento e 13,2 per cento) e molto inferiore a quella della Germania (28,8 per cento). Per le donne l’incidenza del part-time è quattro volte superiore aquella degli uomini (rispettivamente 31,4 e 7,4 per cento).

• Nel 2023 oltre la metà dei lavoratori a tempo parziale nella classe 15-64 anni (il 54,8 per cento) vorrebbe lavorare di più; l’incidenza raggiunge quasi il 70 per cento tra gli uomini e aquasi 9 su 10 per quelli residenti nel Mezzogiorno. Tra le maggiori economie europee, la quota di part time involontario nel 2022 (ultimo anno per cui è disponibile il confronto) era del 57,9 per cento in Italia, il 50,8 per cento in Spagna, il 25,9 per cento in Francia e il 6,1 per cento in Germania.

L’andamento delle retribuzioni e il lavoro a basso reddito

• Nonostante i miglioramenti osservati sul mercato del lavoro negli ultimi anni, l’Italia conserva una quota molto elevata di occupati in condizioni di vulnerabilità economica. Tra il 2013 e il 2023 il potere d’acquisto delle retribuzioni lorde in Italia è diminuito del 4,5 per cento mentre nelle altre maggiori economie dell’Ue27 è cresciuto a tassi compresi tra l’1,1 per cento della Francia e il 5,7 per cento della Germania.

• I dipendenti delle imprese private extra-agricole che nel 2022 si collocano nella fascia a bassa retribuzione annuale, ossia sotto una soglia pari al 60 per cento del valore mediano,sono 4,4 milioni (poco meno del 30 per cento del totale), con un’incidenza molto maggiore per i dipendenti con contratti non standard, soprattutto a termine e a tempo parziale. Giovani, donne e stranieri sono gli individui che più si associano a criticità retributive.

• Nell’arco temporale fra il 2015 e il 2022, tra i 7,7 milioni di dipendenti delle imprese private 
extra-agricole con segnali di occupazione in tutti gli anni del periodo osservato, 2,3 milioni hanno sperimentato periodi di bassa retribuzione annuale. Poco meno del 40 per cento di questi è riuscito a emanciparsi da questa condizione stabilmente a partire dal 2019. 

• Secondo i dati dell’Indagine sul reddito e le condizioni di vita (Eu-Silc) nel 2022 la quota di occupati a rischio di povertà in Italia è all’11,5 per cento, nell’Ue27 è l’8,5 per cento del totale. 

Istruzione e formazione nel mercato del lavoro

• In Italia l’istruzione mostra progressi continui, nonostante forti differenze sociali e territoriali nei livelli di apprendimento. Tra i 25-34enni la percentuale di giovani con un titolo terziario (29,2 per cento nel 2022) negli ultimi due decenni è aumentata di 17 punti percentuali; nella media Ue27 la quota arriva al 42,0 per cento, 19 punti in più rispetto al 2002. Questo divario è spiegato in gran parte dall’assenza, in Italia, dei corsi universitari biennali (perlopiù a carattere tecnico), diffusa in altri paesi.

• Tra il 2013 e il 2021, in Italia, l’andamento delle quote di diplomati con laurea triennale o equivalente rispetto alla popolazione tra i 20 e i 29 anni ha mantenuto gli stessi livelli e profili di crescita osservati in Francia, Germania, e Spagna. L’Italia si trova in posizione intermedia in questo gruppo per i diplomati di laurea magistrale o a ciclo unico, pure in crescita, mentre è in ultima posizione e in arretramento per dottorati o specializzati.

• Nel 2023, tra gli occupati laureati circa 2 milioni di persone (il 34 per cento del totale) risultano occupate con un inquadramento professionale che non richiede necessariamente il titolo d’istruzione conseguito e, in tal senso, sono considerate sovra-istruite. L’incidenza raggiunge il 45,7 per cento tra i laureati in discipline socio-economiche e giuridiche e scende al 27,6 per cento tra i laureati in discipline STEM. Tra il 2019 e il 2023 la quota dei sovra-istruiti è cresciuta di 1,1 punti percentuali.

• Nel nostro Paese ai più bassi livelli di istruzione si associa anche una minore partecipazione alle attività di formazione svolte al di fuori dei percorsi tradizionali di istruzione e di apprendimento formale (tra i 27 paesi dell’Unione europea, l’Italia è in ventunesima posizione). La diffusione della formazione è significativamente inferiore tra i meno istruiti, i disoccupati e gli occupati a bassa qualifica.

L’evoluzione dell’occupazione negli ultimi venti anni

• Nel periodo 2004-2023, la composizione per età dell’occupazione in Italia è strutturalmente cambiata, riflettendo aspetti demografici insieme alla diffusione dell’istruzione terziaria e al prolungamento della vita lavorativa: il saldo osservato (+5,7 per cento) è la sintesi di un calo di oltre due milioni di occupati tra i giovani di 15-34 anni e di un milione tra i 35 e i 49 anni, più che compensato dall’aumento 
di 4 milioni e mezzo di occupati di oltre 50 anni. 

• Per conseguenza, la forza lavoro occupata risulta invecchiata più velocemente della popolazione: tra gli occupati, la quota di giovani tra 15 e 34 anni è diminuita maggiormente rispetto a quanto avvenuto nella popolazione nel suo complesso, mentre tra gli ultracinquantenni è avvenuto l’opposto. 

• Uno dei tratti distintivi degli ultimi due decenni è la crescita dei dipendenti a tempo determinato: nel 2023 erano quasi 3 milioni, circa un milione in più rispetto al 2004. L’aumento ha riguardato soprattutto i giovani tra 15 e 34 anni. Viceversa, la crescita del lavoro a tempo indeterminato, pari a 1 milione 373 mila unità (+9,7 per cento), ha riguardato solo gli occupati ultracinquantenni. 

• Negli ultimi venti anni è anche cresciuta la quota degli impieghi a tempo parziale, da meno del 
13 per cento nel 2004 al 18 per cento nel 2023. Inoltre, la quota di part-time involontario è aumentata da poco più di un terzo a oltre metà degli occupati a tempo parziale. L’aumento della diffusione dei lavori a tempo parziale accomuna le principali economie europee, con l’eccezione della Francia. 

• La trasformazione strutturale più evidente riguarda la diminuzione degli occupati indipendenti: nel 2023 i lavoratori autonomi sono poco più di 5 milioni e rispetto al 2004 sono diminuiti di 
circa 1,2 milioni di unità (l’incidenza sull’occupazione è passata dal 27,8 al 21,4 per cento).

• Tra il 2004 e il 2023 la crescita dell’occupazione si è accompagnata alla sua ricomposizione tra le attività economiche. Secondo le stime della contabilità nazionale, il comparto dei servizi ha guadagnato 2,4 milioni di occupati, mentre l’Industria in senso stretto ne ha persi oltre 500 mila e l’Agricoltura 140 mila. Gli occupati nelle Costruzioni, per effetto degli incentivi degli ultimi anni, sono invece tornati sui livelli del 2004.

L’evoluzione dell’occupazione attraverso la domanda di lavoro

• Tra il 2012 e il 2021, con ampie fluttuazioni cicliche, secondo i registri statistici dell’Istat gli addetti nelle imprese sono aumentati di circa 860 mila unità, mentre resta pressoché invariato il personale delle amministrazioni pubbliche rilevato nel Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato. 

• Il saldo occupazionale è stato positivo per quasi 1,2 milioni di unità per le persone con istruzione di livello universitario e negativo per circa 330 mila unità per quelle con istruzione di livello inferiore, in conseguenza di aspetti di natura demografica (turnover tra generazioni meno e più istruite) e del progresso verso una struttura più qualificata dell’occupazione. 

• L’evoluzione quantitativa e qualitativa dell’occupazione è stata determinata, oltre che dagli andamenti generali di economia, demografia e istruzione, dai diversi profili delle unità economiche. Composizione settoriale, crescita dimensionale e dinamismo delle imprese hanno giocato un ruolo nel produrre domanda di lavoro più o meno qualificata.

• L’investimento in capitale umano è centrale nelle imprese: esistono forti complementarietà in termini di investimenti in risorse umane, strategie, capacità innovativa, tecnologie. Maggiori i livelli di complessità, maggiore la domanda di lavoro, in particolare per personale con istruzione più elevata. Le imprese meno dinamiche hanno perso occupazione in tutte le classi dimensionali, mentre le più dinamiche sono cresciute sistematicamente, spesso assumendo una elevata quota di laureati. 

• Analogamente, all’interno di ciascuna attività elementare, le imprese con forza lavoro più istruita (comprese le nuove entranti, e quelle che hanno migliorato lo stock di capitale umano) tra il 2012 e il 2021 hanno ottenuto risultati economici migliori in termini di valore aggiunto e occupazione, contribuendo in tal modo all’evoluzione del sistema produttivo.

La soddisfazione dei lavoratori: determinanti individuali e d’impresa

• Il 59,3 per cento degli oltre 22,5 milioni di lavoratori che nel 2021 erano impiegati nel sistema economico si dichiarava nel complesso soddisfatto del proprio lavoro, soprattutto in relazione alla stabilità del contratto (58,2 per cento). Più limitata è la quota di soddisfatti dal trattamento economico (38,1 per cento) e dalle opportunità di carriera (31,4 per cento). 

• In generale, la soddisfazione è maggiore per i lavoratori residenti al Nord (61,7 per cento contro 53,3 per cento nel Mezzogiorno). Per tipologia di impiego, le differenze sono minime tra dipendenti e lavoratori autonomi, ma la soddisfazione complessiva scende al 48,9 per centro tra i collaboratori. Tra donne e uomini non vi sono differenze nella soddisfazione complessiva, ma gli uomini sono relativamente più soddisfatti delle prospettive di carriera (33,3 contro 28,9 per cento).