News5 Dicembre 2023 12:55

Assemblea Confimi, Agnelli: serve un “Salva imprese”, produciamo 100 per avere 30. Stop all’Austerity in Europa. VIDEOINTERVISTA

“Quella di oggi è una storia di dedizione e amore per l’Italia, la storia degli imprenditori che hanno costruito il marchio del Made in Italy, un amore non sempre corrisposto. Le 45mila imprese che rappresento, si riconoscono e si prendono cura della bandiera tricolore simbolo di sacrificio, libertà e uguaglianza, ma chi si prende cura di loro? Oggi più di qualcuno sembra essersi dimenticato del nostro contributo”.

Così a PMINEWS Paolo Agnelli, presidente Confimi, nella sua relazione in occasione dell’Assemblea annuale in corso a Roma.

“Le nostre imprese hanno un carico fiscale e contributivo del 59,1%, mentre la media europea è al 38,9%. I nostri imprenditori pagano il 27,9% sugli utili, mentre in Europa la media è del 21,2%, mentre le PMI pagano l’energia 16 centesimi al KwH e il 42% di questo costo sono imposte e accise, in Europa si parla di 0,12 cent. al KwH. Per gli adempimenti fiscali le nostre imprese dedicano 30 giorni annui alla burocrazie, con l’avvio di una nuova impresa tra i 6 e 12 mesi, mentre in Germania a Francia bastano 4 ore.

Sui salari, la paga media oraria in Germania è di 9,60, in Francia 10,25, in Spagna 5,20, in Polonia poco più di 2 euro, in Italia è di 7,50. Ma se prendiamo l’industria italiana, i salari sono in media con gli altri paesi europei. Se l’economia del nostro paese registra indici più bassi, la colpa è delle paghe della PA e del settore servizi, mentre nessuno dice che, a fronte dei 300 miliardi di salari del settore privato, 180 miliardi finiscono nelle casse dello stato. Il reale cuneo fiscale è pari al 60%, mentre la media Ocse è del 46,5.

Nel dibattito pubblico tutto questo non ci è riconosciuto, non si distingue tra i settori in cui sfruttamento del lavoro e lavoro nero sono diffusi. A tanta disparità competitiva, si sono aggiunti i tassi della BCE che, decuplicati in 12 mesi e pensati per combattere l’inflazione, si sono dimostrati un rallentamento dell’economia, come avevamo previsto.

Nel 2023 il costo del denaro ha sostituito, nel conto economico delle imprese, quello che nel 2022 era il costo dell’energia. Aggiungo che questo non è valido in tutta Europa, visto che in alcune economie concorrenti hanno la propria moneta, come Bulgaria, la Cechia, la Polonia, ma anche la Svezia e la Danimarca. Questo va sottolineato, perché i nostri principali competitori sono proprio i mercati europei, dove fare imprese è meno costoso e più conveniente per tassazione, energia e costo del denaro.

Si può fare impresa in Italia? Si tratta di una domanda importante. Gli aiuti alle banche hanno limitato le nostre possibilità di scelta ed oggi abbiamo solo 3 grandi gruppi, ma anche questo durerà poco. Anche perché oggi si fa credito solo a chi ha grandi garanzie, altre che aiuto alle startup o finanziare idee e progetti. Le banche diventano solide, ma a danno di chi? Vi siete mai chieste perché un “Salvabanche” e mai un Salva imprese”?

A tutto questo si aggiunge un giochino, che sono i costi indeducibili, che come tali non detraggono l’utile, ma risultano tassabili e che hanno un’incidenza tra il 7-8%, portando il totale delle imposte al 60%. Ma non è finita qui. Se togliamo quel 40% rimasto all’azienda per i dividendi, su questi va pagato un ulteriore 26%: abbiamo così prodotto 100 per avere 30. I nostri complimenti vanno a chi non vede tutto questo, ma poi si stupisce sul perché le aziende italiane si fanno comperare o non investono in Italia, oppure perché opera nel sommerso. Allora perché non fare un Salva imprese, per un comparto che genera il 73,8% del Pil.

C’è spazio per la PMI italiana in Europa? Siamo di fronte ad un bivio: salvare imprese e famiglie o l’Europa che predilige gli interessi di singoli paesi o potentato finanziario? Una scelta non facile di fronte all’utilizzo dello spread da parte della finanza europea, che ci costringe a fare quello che vogliono. Uno stato non può abbassare il proprio debito senza fatturare, ma questo è impossibile se non vende, non fattura e quindi è competitivo.

Oggi è impossibile un rinnovo del patto di stabilità sotto il segno dell’Austerity. Ingessare tutto di nuovo significa affossare la principale fonte del proprio Pil. L’austerità senza distinguo rischia di demolire l’economia del nostro paese. Chissà se qualcuno si è accorto del fenomeno Usa. Le imprese guardano con grande interesse agli Stati Uniti per delocalizzare, facendo così felici i Fondi di investimento, che così manterrebbero il Marchio del Made in Italy: di questo rimarrà solo il suono, un Italian Sounding produttivo.

Oggi giochiamo una partita impossibile e solo una reazione forte, che dica basta a questo ricatto può salvare 6 milioni di imprese le famiglie, basta diktat da Bruxelles, abbiamo il timore che l’UE non voglia costruire una politica industriale comune. L’Unione, dopo la pandemia, si è quasi frantumata sull’industria, non considerando tutti gli interessi delle filiere produttive, compreso l’enorme shock del prezzo del gas.

Dobbiamo affrontare le transizioni, ma lo stiamo facendo in condizioni impari, rispetti a chi può mettere in campo risorse finanziarie imponenti e su chi può contare su posizioni di monopolio su componenti fondamentali per questi obiettivi. Nella grande sfida internazionale l’Italia rischia di perdere se stessa, ma non ce lo meritiamo. Con le prossime elezioni europee si apre però lo scenario per un ripresa, dove dovranno essere rivisti gli obiettivi per il 2030. La sostenibilità ambientale è ineludibile, ma tale proposito è insostenibile senza perseguire anche quella economica e sociale