News7 Luglio 2023 12:07

Rapporto Istat 2023: Tornare a progettare il futuro tra opportunità e persistenti incertezze

L’edizione 2023 del Rapporto intende fornire una base informativa e di analisi ampia e rigorosa non solo per misurarsi con la complessità del presente, dovuta al susseguirsi di crisi a livello internazionale e nazionale, ma anche per progettare una nuova fase di sviluppo sostenibile e inclusivo. Assumendo un approccio integrato tra aspetti demografici, economici e sociali il Rapporto focalizza l’attenzione sulle conseguenze dell’evoluzione demografica con particolare riferimento al mercato del lavoro, sul ruolo del capitale umano come fattore di inclusione e sviluppo, sulle criticità ambientali e le sfide della transizione ecologica, sulla capacità di innovazione e resilienza del sistema delle imprese.  Il PNRR offre l’opportunità di valorizzare il ruolo centrale dei giovani, del sistema produttivo e della società civile come protagonisti attivi del cambiamento. Tra gli elementi innovativi di questa edizione del Rapporto si segnalano i focus di approfondimento tesi ad evidenziare aspetti di rilievo legati all’ampliamento dei divari territoriali e ai confronti inter-generazionali e di genere.

CAPITOLO 1

L’ITALIA TRA EREDITÀ DEL PASSATO
E INVESTIMENTI PER IL FUTURO

Terminato nel primo trimestre 2022 lo stato di emergenza sanitaria nazionale, nel corso dell’anno sono emersi nuovi elementi di criticità. Il forte rincaro dei prezzi dell’energia e delle materie prime, accentuato dal conflitto in Ucraina, ha condizionato l’evoluzione dell’economia, con rilevanti aumenti dei costi di produzione per le imprese e dei prezzi al consumo per le famiglie. Nonostante l’attenuarsi della fase più critica della crisi energetica, nel primo trimestre 2023, l’andamento dell’inflazione condizionerà l’evoluzione dei consumi e dei salari reali nel prossimo futuro.

Non mancano, tuttavia, segnali favorevoli. Nel 2022 è proseguita la fase di recupero dell’attività produttiva iniziata nel primo trimestre 2021. A fine anno il saldo commerciale è tornato in attivo. Dati incoraggianti arrivano dal mercato del lavoro, in cui all’aumento degli occupati si è associata la diminuzione dei disoccupati e degli inattivi.

Nel primo trimestre 2023 si registra una dinamica congiunturale positiva per il Pil, superiore a quella delle altre economie dell’Unione europea, trainata soprattutto dal settore dei servizi. La manifattura mostra invece segnali di rallentamento.

Sul fronte demografico, gli effetti dell’invecchiamento della popolazione si fanno sempre più evidenti: il consistente calo delle nascite registrato nel 2022 rispetto al 2019, circa 27 mila nascite in meno, è dovuto per l’80 per cento alla diminuzione delle donne tra 15 e 49 anni di età e per il restante 20 per cento al calo della fecondità. L’invecchiamento è destinato ad accentuarsi nei prossimi anni, con effetti negativi sul tasso di crescita del Pil pro capite.

Investendo sul benessere delle nuove generazioni, si può fare in modo che l’insufficiente ricambio generazionale sia in parte compensato dalla loro maggiore valorizzazione. Gli indicatori che riguardano il benessere dei giovani in Italia sono però ai livelli più bassi in Europa. Le notevoli risorse finanziarie messe in campo per uscire dalla crisi dovrebbero supportare investimenti che accompagnino e rafforzino il benessere dei giovani nelle diverse fasi dei percorsi di vita, intervenendo fin dai primi anni di vita.

La situazione economica del paese

  • Nel 2022 a livello globale si sono accentuate le forti pressioni al rialzo dei prezzi già emerse a fine 2021, L’escalation del conflitto russo-ucraino ha determinato un aumento esponenziale soprattutto delle quotazioni delle materie prime energetiche – in particolare del gas naturale – e dei prodotti alimentari che vedono i paesi coinvolti nella guerra tra i principali esportatori.  Nella seconda metà del 2022, tuttavia, i listini dei prezzi delle materie prime hanno cominciato a diminuire. L’inversione di tendenza è stata guidata dalla diversificazione delle fonti di approvvigionamento da parte dei paesi importatori, dal clima particolarmente mite registrato nell’ultima parte dell’anno e dalla moderazione della domanda mondiale. In media di anno, nel 2022 il tasso di crescita del commercio mondiale si è ridotto a 5,1 per cento, dal 10,4 per cento del 2021.
  • Nel 2022 l’Italia ha segnato una crescita del Pil pari a +3,7 per cento, inferiore, tra le maggiori economie, solo a quella della Spagna (+5,5 per cento). L’aumento dell’attività economica in Francia e Germania è stato, invece, rispettivamente, pari a +2,5 per cento e +1,8 per cento.
  • La crescita del Pil dell’Italia nel 2022 è stata sostenuta, come nel 2021, dai consumi delle famiglie residenti e dagli investimenti fissi lordi, mentre la domanda estera netta ha fornito un contributo negativo. La spesa delle famiglie ha accelerato rispetto all’anno precedente (+5,5 per cento nel 2022 rispetto al +4,9 per cento del 2021), mentre la spesa per investimenti è aumentata del 9,4 per cento, raggiungendo una quota sul Pil pari al 21,5 per cento, il valore più elevato dell’ultimo decennio.
  • Sempre nel 2022, l’incremento degli investimenti in costruzioni è stato particolarmente sostenuto (+10,3 per cento quelli in abitazioni e +12,9 per cento quelli in fabbricati non residenziali e altre opere), stimolato dalle misure agevolative volte alla riqualificazione del patrimonio edilizio, così come quello in impianti, macchinari e armamenti (+8,6 per cento). Più modesto è stato invece l’aumento degli investimenti in prodotti della proprietà intellettuale (+4,5 per cento), seppure in accelerazione rispetto all’anno precedente (+1,4 per cento)
  • A livello territoriale, il Pil è cresciuto nel 2022 in misura più elevata nel Nord-est (+4,2 per cento) e nel Centro (4,1 per cento) mentre la crescita e stata più moderata nel Mezzogiorno (+3,5 per cento) e nel Nord-ovest (+3,1 per cento).
  • La pandemia ha avuto un impatto negativo soprattutto sul sistema produttivo del Centro-Nord, ma la performance di Sud e Isole nello stesso periodo è risultata comunque piuttosto modesta. Nel 2021 il differenziale di Pil del Mezzogiorno con il resto del Paese è tornato vicino ai valori più elevati toccati nel 2019 (-14,9mila euro).
  • Nel 2022 gli scambi commerciali dell’Italia sono stati fortemente influenzati dall’andamento dei prezzi. Le esportazioni di beni in valore hanno conseguito un forte incremento (+20 per cento) inferiore, tuttavia, a quello delle importazioni (+34,6 per cento) sostenute dal consistente rincaro delle materie prime, in particolare di quelle energetiche. Il saldo commerciale italiano, diventato negativo a fine 2021, è tornato positivo solo alla fine dello scorso anno.
  • Nel 2022, l’Indice Armonizzato dei Prezzi al Consumo (IPCA) è cresciuto in media dell’8,7 per cento, come in Germania e più che in Francia e Spagna (5,9 per cento e 8,3 per cento rispettivamente). Nei primi mesi del 2023, il deciso rallentamento del prezzo delle materie prime e in particolare dei listini europei del gas ha determinato un rallentamento della crescita dei prezzi al consumo. A giugno 2023, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, ha registrato una variazione nulla su base mensile e un aumento del 6,4 per cento su base annua. La decelerazione del tasso di inflazione è determinata dal rallentamento su base tendenziale dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (da +20,3 per cento a +8,4 per cento). Nello stesso mese, l’“inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, è in rallentamento ma risulta ancora elevata (+5,6 per cento).
  • Il tasso di inflazione del nostro Paese si è, tuttavia, mantenuto al di sopra di quello medio dell’area euro a partire dal quarto trimestre 2022. Il divario si è però ridotto: è sceso a 1,9 punti percentuali a maggio, a fronte di un differenziale di 3,1 a dicembre dello scorso anno.
  • Nel corso del 2022 il numero di occupati è cresciuto del 2,4 per cento (+545mila unità) facendo registrare un aumento di molto superiore rispetto a quello osservato nel 2021 (+0,7 per cento pari a 167mila unità). Tale aumento ha pienamente compensato il crollo occupazionale registrato nel 2020 riportando nuovamente l’occupazione ai livelli del 2019, ma rimane comunque inferiore a quelli conseguiti dai principali paesi europei e dell’Ue27 nel complesso.
  • Il tasso di occupazione di 15-64enni è salito nel 2022 al 60,1 per cento (+1,9 punti percentuali in un anno), collocandosi al di sopra di quello osservato nel 2019. Si registra inoltre un forte calo del numero di persone in cerca d’occupazione ( -339 mila unità) rispetto all’anno precedente. Il numero di inattivi di età compresa tra i 15 e i 64 anni, ridottosi già nel corso del 2021, è calato ancora
    (-484mila unità) scendendo sotto il livello precrisi.
  • Per quanto riguarda l’occupazione giovanile (25-34 anni) risultano occupati nel 2022 quasi 8 giovani su 10 nel Centro-Nord a fronte dei 5 circa nel Mezzogiorno

Il quadro demografico

  • Nel primo quadrimestre 2023 le nascite (118mila unità) continuano a diminuire: -1,1 per cento sul 2022, -10,7 per cento sul 2019. Per quanto riguarda i decessi si assiste a una decisa inversione della tendenza negativa che aveva drammaticamente interessato il precedente triennio: sono 232mila nei primi quattro mesi del 2023, 21mila in meno sul 2022, 42mila in meno rispetto al 2020 e quasi 2mila unità in meno rispetto al 2019.
  • Al 31 dicembre 2022, la popolazione residente in Italia ammonta a 58.850.717 unità (-179.416 rispetto all’inizio dello stesso anno, -3,0 per mille); tale calo presenta, tuttavia, un’intensità minore, sia rispetto a quello osservato nel 2021 (-3,5 per mille), sia a quello del 2020 (-6,8 per mille), tornando a livelli simili al periodo pre-pandemico (-2,9 per mille nell’anno 2019).
  • Al 31 dicembre 2022 si stima una presenza di 5.050.257 cittadini stranieri, in aumento di 20mila unità sull’anno precedente (+3,9 per mille), composta per il 51,0 per cento da donne. L’incidenza degli stranieri residenti sulla popolazione totale è dell’8,6 per cento, sostanzialmente in linea con l’anno precedente.
  • Il 2022 si contraddistingue per un nuovo record del minimo di nascite (393mila, per la prima volta dall’Unità d’Italia sotto le 400mila) e per l’elevato numero di decessi (713mila). Dal 2008, anno di picco relativo della natalità, le nascite si sono ridotte di un terzo.
  • Il saldo naturale è diminuito in modo progressivo nel corso del tempo, toccando il minimo nel biennio 2020-2021, quando si è registrata una riduzione di oltre 300mila individui in media annua. A questo si aggiunge, nel 2022, un ulteriore decremento di 321mila unità, che porta quindi, in soli tre anni, alla perdita di quasi un milione di persone (957mila unità).
  • Il calo delle nascite tra il 2019 e il 2022 (27mila unità in meno) dipende per l’80% dal cosiddetto “effetto struttura”, ovvero dalla minore numerosità e dalla composizione per età delle donne. Il restante 20 per cento è dovuto, invece, alla minore fecondità: da 1,27 figli in media per donna del 2019 a 1,24 del 2022.
  • L’evoluzione di periodo del numero medio di figli per donna in Italia continua a essere fortemente condizionato dalla posticipazione della genitorialità verso età più avanzate. L’età media al parto per le donne residenti in Italia, aumentata di un anno dal 2010 al 2020, è stabile negli ultimi due anni e pari a 32,4 anni.
  • Nel 2022 la stima della speranza di vita alla nascita è di 80,5 anni per gli uomini e 84,8 anni per le donne; solo per i primi si nota, rispetto al 2021, un recupero quantificabile in circa 2 mesi e mezzo di vita in più. I livelli di sopravvivenza del 2022 risultano ancora al di sotto di quelli del periodo
    pre-pandemico, registrando valori di oltre 7 mesi inferiori rispetto al 2019, sia tra gli uomini, sia tra le donne.
  • Nonostante l’elevato numero di decessi di questi ultimi tre anni, oltre 2 milioni e 150mila, di cui l’89,7 per cento riguardante persone con più di 65 anni, il processo di invecchiamento della popolazione è proseguito, portando l’età media della popolazione da 45,7 anni a 46,4 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2023.
  • La popolazione ultrasessantacinquenne ammonta a 14 milioni 177mila individui al 1° gennaio 2023, e costituisce il 24,1 per cento della popolazione totale. Tra le persone ultraottantenni, si rileva comunque un incremento, che li porta a 4 milioni 530mila e a rappresentare il 7,7 per cento della popolazione totale.
  • Il numero stimato di ultracentenari raggiunge il suo più alto livello storico, sfiorando, al 1° gennaio 2023, la soglia delle 22 mila unità, oltre 2 mila in più rispetto all’anno precedente. Gli ultracentenari sono in grande maggioranza donne, con percentuali superiori all’80 per cento dal 2000 a oggi.
  • Risultano in diminuzione tanto gli individui in età attiva, quanto i più giovani: i 15-64enni scendono a 37 milioni 339mila (sono il 63,4 per cento della popolazione totale), mentre i ragazzi fino a 14 anni sono 7 milioni 334mila (12,5 per cento).
  • Gli scenari demografici prevedono un consistente aumento dei cosiddetti “grandi anziani”. Nel 2041 la popolazione ultraottantenne supererà i 6 milioni; quella degli ultranovantenni arriverà addirittura a 1,4 milioni.
  • Nel 2022 le iscrizioni anagrafiche dall’estero ammontano a 361mila, con un incremento del 13,3 per cento rispetto al 2021. Forte impulso alle iscrizioni dall’estero è dato dalle conseguenze della guerra in Ucraina alla fine di febbraio 2022. Al 31 dicembre 2022 si osserva un consistente aumento di iscrizioni in anagrafe dall’estero di cittadini ucraini (da circa 9mila nel 2021 a quasi 30mila nel 2022).
  • Il rallentamento dei flussi in uscita, osservato a partire dall’anno della pandemia, prosegue nel 2022 pur in assenza di vincoli agli spostamenti. Le cancellazioni per l’estero scendono a 132mila, -16,7 per cento rispetto all’anno precedente.
  • I flussi migratori, dopo una fase di marcata prevalenza della componente maschile durata fino agli anni Novanta, negli ultimi venti anni hanno fatto registrare un sostanziale equilibrio di genere. Al 1° gennaio 2022, le donne rappresentano il 49,3 per cento del totale degli stranieri non comunitari di 18 anni e più con un regolare permesso di soggiorno. Molto evidente la struttura per genere a forte connotazione femminile della collettività ucraina: le donne rappresentano più dell’80 per cento degli ingressi, senza variazioni negli ultimi quindici anni.
  • Al 31 dicembre 2022, dei 7.904 comuni italiani, 4.070 fanno parte delle aree centrali (51,5 per cento) e 3.834 delle aree interne (48,5 per cento). Tra il 1° gennaio 2002 e il 1° gennaio 2023 la popolazione delle aree interne è diminuita, passando dal 23,9 per cento al 22,7 per cento della popolazione totale. Il declino demografico nelle aree interne si osserva già dal 2011, mentre nelle aree centrali dal 2015.
  • Al 1° gennaio 2023 si registrano 117,9 anziani di 65 anni e più ogni 100 giovani di 15-34 anni (erano 70,5 al 1° gennaio 2002); nelle aree interne tale rapporto è pari a 122,1 (era 73,6 nel 2002), mentre nelle aree centrali è pari a 116,7 (era 69,5).

Le nuove generazioni come motore della crescita futura

  • Nel 2022 quasi un giovane su due (47,7 per cento dei 18-34 enni) mostra almeno un segnale di deprivazione in uno dei domini chiave del benessere (Istruzione e Lavoro, Coesione sociale, Salute, Benessere soggettivo, Territorio). Di questi giovani oltre 1,6 milioni (pari al 15,5 per cento dei
    18-34enni), sono multi-deprivati ovvero mostrano segnali di deprivazione in almeno 2 domini. I livelli di deprivazione e multi-deprivazione sono sistematicamente più alti nella fascia di età 25-34 anni, che risulta la più vulnerabile.
  • In Italia il meccanismo di trasmissione intergenerazionale della povertà (trappola della povertà) è più intenso che nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea: quasi un terzo degli adulti (25-49 anni) a rischio di povertà proviene da famiglie che, quando erano ragazzi di 14 anni, versavano in una cattiva condizione finanziaria.
  • La spesa pubblica per istruzione in rapporto al PIL mostra un minore impegno del nostro Paese per questa funzione rispetto alle maggiori economie europee (4,1 per cento del Pil in Italia nel 2021 contro il 5,2 in Francia, il 4,6 in Spagna e il 4,5 in Germania) e in generale rispetto alla media dei paesi Ue27 (4,8 per cento).
  • L’Italia spende per le prestazioni sociali erogate alle famiglie e ai minori una quota rispetto al Pil molto esigua pari all’1,2 per cento a fronte del 2,5 per cento della Francia e del 3,7 per cento della Germania.
  • La copertura dei posti disponibili nelle strutture educative per la prima infanzia (0-2 anni) rispetto ai bambini residenti è pari al 28 per cento, ancora inferiore al target europeo del 33 per cento da raggiungere entro il 2010 e molto lontana dal nuovo target del 50 per cento entro il 2030.
  • Quasi il 5 per cento dei bambini sotto i tre anni frequentano la scuola di infanzia come anticipatari: nonostante queste strutture non prevedano adattamenti del servizio alle esigenze specifiche dei bambini di 2 anni, sono più accessibili per maggiore diffusione sul territorio e costi molto più contenuti rispetto agli asili nido.
  • La maggior parte degli edifici scolastici statali non dispone di tutte le attestazioni relative ai requisiti di sicurezza: le certificazioni sono detenute da poco meno del 40 per cento dei casi. Riguardo alla raggiungibilità con il trasporto pubblico, si osserva uno svantaggio significativo per il Mezzogiorno: il 14,8 per cento degli edifici considerati risulta poco raggiungibile, sia con scuolabus sia con i collegamenti pubblici (7,8 per cento nel Centro e 5,7 per cento nel Nord).
  • Poco più di un terzo degli edifici scolastici, statali e non, è privo di barriere fisiche, con una forbice di quasi 8 punti tra le regioni del Nord e quelle del Mezzogiorno a sfavore di quest’ultimo. Solo il 16% delle scuole dispone di “segnalazioni visive” per studenti con sordità o ipoacusia, mentre le “mappe a rilievo e i percorsi tattili”, necessari a rendere gli spazi accessibili agli alunni con cecità o ipovisione, sono presenti solo nell’1,5% delle scuole.

CAPITOLO 2

CAMBIAMENTI NEL MERCATO DEL LAVORO E INVESTIMENTI IN CAPITALE UMANO

Gli scenari demografici più recenti mettono in luce come entro i prossimi venti anni in Italia vi sarà una riduzione consistente della popolazione in età di studio e di lavoro. Tuttavia, la contrazione della platea di studenti può essere mitigata dalla diminuzione degli abbandoni nelle scuole secondarie superiori e da un aumento dei tassi di partecipazione all’istruzione universitaria. In entrambi i casi in Italia si sono registrati progressi significativi già nell’ultimo decennio, ma la distanza dai Paesi più virtuosi dell’Unione è ancora ampia, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno. Inoltre, le maggiori criticità di queste ultime riguardano anche le competenze dei diplomati, che risultano in media più basse rispetto a quelle misurate al Centro-Nord. Quasi un quinto dei giovani tra 15 e 29 anni in Italia non lavora e non studia (il dato più elevato tra i Paesi Ue dopo la Romania), e fino a un terzo in Sicilia. Favorirne l’ingresso nel sistema formativo e nel mercato del lavoro potrebbe contribuire a ridurre la dissipazione del capitale umano dei giovani, risorsa sempre più scarsa nel prossimo futuro. Gli effetti del calo della popolazione in età da lavoro e dell’invecchiamento sono apprezzabili già oggi. Nonostante il recente andamento favorevole dell’occupazione, l’Italia si colloca ancora all’ultimo posto in ambito europeo e, al tempo stesso, detiene il primato (dopo la Bulgaria) per l’elevata età media degli occupati. L’aumento dei tassi di occupazione, in particolare per i giovani e le donne, potrebbe compensare la perdita prevista nel numero di occupati per effetto della dinamica demografica e ridurre la disuguaglianza di genere nei redditi. Gli effetti delle tendenze demografiche sul mercato del lavoro non vanno intese dunque come un destino ineluttabile. Il nostro Paese può conseguire ampi margini di contenimento degli effetti sfavorevoli della dinamica demografica agendo sul recupero dei ritardi strutturali. In questa prospettiva, per competere nella società della conoscenza, è fondamentale l’investimento in capitale umano e l’impiego di professionalità qualificate, unitamente alla modernizzazione del sistema produttivo

Prospettive demografiche e popolazione in età di studio e di lavoro

  • Tra il 2021 e il 2050 in Italia si stima una riduzione della popolazione residente pari a quasi 5 milioni, fino a poco più di 54 milioni. Continuerà il processo di invecchiamento (nel 2023 l’età mediana, 48,3 anni, è la più elevata tra i Paesi Ue27) e la struttura per età della popolazione cambierà in gran parte già nel periodo 2021-2041, quando la fascia di età fino ai 24 anni si ridurrà di circa 2,5 milioni (-18,5 per cento) e quella tra i 25 e i 64 anni di 5,3 milioni (-16,7 per cento). Al contrario crescerà di quasi un milione la popolazione tra i 65 e 69 anni (+27,8 per cento) e di 3,8 milioni (+36,2 per cento) quella di 70 anni e più, che nel 2041 comprenderà la generazione del baby boom.
  • Considerando la popolazione tra 0 e 24 anni e l’impatto sul sistema dell’istruzione, nel 2041 si prevede una riduzione minima (il 5,3 per cento) per i bambini tra 0 e 5 anni, un calo di oltre il 25% per i giovani tra 11 e 18 anni (in istruzione secondaria), e di poco inferiore al 20 per cento per le fasce d’età corrispondenti all’istruzione elementare (6-10 anni) e universitaria (19-24 anni). Con riferimento alla popolazione in età di lavoro, e considerando la tendenza all’innalzamento dell’età pensionabile, per la classe 25-69 anni la riduzione sarà pari al 12,3 per cento.
  • Sul territorio, l’entità della riduzione sia delle fasce d’età giovani sia di quelle in età di lavoro sarà maggiore nel Mezzogiorno (in Basilicata si stima una contrazione pari o superiore al 30 per cento per la fascia d’età 25-64 anni e 0-24 rispettivamente), mentre il Centro-Nord sarà favorito dalla dinamica migratoria in ingresso.

Struttura e dinamica del mercato del lavoro

  • Tra il 1993 e il 2022, il processo di invecchiamento delle forze di lavoro tra 15 e 64 anni è stato più rapido di quello della popolazione della stessa classe d’età, con una crescita dell’età media di 6,2 anni rispetto a 3,9 anni, arrivando nel 2022 a 43,6 anni contro 42,0 per la popolazione. Questo processo è accelerato negli ultimi vent’anni, in particolare in seguito alla riforma pensionistica del 2011.
  • Il tasso di attività della popolazione tra 15 e 64 anni nel periodo 1993-2022 è cresciuto di circa 6 punti percentuali (al 65,6 per cento), esclusivamente per l’aumento della partecipazione femminile, aumentata in misura quasi doppia (al 56,5 per cento), mentre il tasso di attività maschile è rimasto sostanzialmente invariato (nel 2022, pari al 74,7 per cento). Corrispondentemente si è ridotto in tutte le classi d’età il divario di genere, che resta comunque ampio, superando, nel 2022, i 20 punti percentuali, fatta eccezione per la classe dei 15-34enni per i quali è di 12,6 p.p.
  • Nel 2022 gli occupati di 15 anni e più in Italia sono cresciuti di 784mila unità rispetto al 2004. Alla crescita ha contribuito l’aumento di ben 349mila occupati nella classe dei 65 anni e oltre, la cui consistenza è raddoppiata, come diretta conseguenza del ritardo nell’età di pensionamento.
  • Tra il 2004 e il 2022 il numero di donne occupate è aumentato di quasi un milione, a fronte di una riduzione di 154mila uomini, e l’incidenza delle donne sugli occupati è salita dal 39,4 per cento al 42,2 per cento, valore inferiore rispetto alla media Ue27 (46,3 per cento). Nello stesso periodo, sul territorio la crescita complessiva dell’occupazione compendia un aumento di oltre 1 milione di occupati nel Centro-Nord e una diminuzione di quasi 300mila nel Mezzogiorno.
  • Con riferimento agli occupati tra 15 e 64 anni, ad aprile del 2023 si è tornati ai livelli della primavera del 2008, precedente la grande recessione. Il tasso di occupazione invece è pari al 61 per cento, superiore di oltre due punti a quello raggiunto nel 2008. L’aumento del tasso a parità di occupati si deve alla riduzione della popolazione in età di lavoro di 1,3 milioni rispetto al 2007, frutto di una contrazione di quasi 4 milioni nella classe 15-49, e una crescita di 2,6 milioni nella classe 50-64 anni.
  • Tra il 2004 e il 2022 in Italia il tasso di occupazione tra i 15 e i 34 anni si è ridotto di 8,6 punti percentuali (al 43,7 per cento). Per i 50-64enni, invece, il tasso d’occupazione aumenta di 19,2 punti (al 61,5 per cento).
  • L’occupazione qualificata – sintetizzata da coloro che svolgono una professione dei primi tre Grandi gruppi della classificazione ISCO-08 – nel periodo 2011-2022 in Italia è cresciuta molto meno rispetto alle altre maggiori economie dell’Unione (meno di 1 punto percentuale contro 4,7 nell’Ue27), e oggi rappresenta il 36 per cento del totale (come in Spagna, che partiva da posizioni più arretrate), rispetto a valori prossimi al 47 per cento in Germania e al 49 per cento in Francia.
  • Il titolo di studio offre migliori opportunità di occupazione e reddito da lavoro, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno e per le donne. Rispetto agli individui con al più la licenza media nella classe di età tra i 25 e i 64 anni, il tasso di occupazione dei laureati è di 30 punti superiore. Questa differenza arriva a 35 punti nel Mezzogiorno, a 44 tra le donne e sfiora i 50 punti tra le donne del Mezzogiorno. Inoltre, i laureati percepiscono in media un reddito netto pari a circa 2,5 volte quello dei lavoratori con al più la licenza media (2,8 volte nell’Ue27).
  • All’aumentare del titolo di studio della donna cala significativamente la percentuale di coppie in cui l’uomo è l’unico percettore di reddito da lavoro: dal 47,4 per cento quando la donna ha al più una licenza media al 9,6 per cento se è laureata.
  • Nella classe di età 30-34, per la quale si possono considerare conclusi gli studi, il 12,1 per cento degli individui dichiara di non aver mai lavorato (7 per cento tra i laureati e 21,4% tra chi possiede al massimo la licenza media). L’effetto discriminante del titolo di studio riguarda soprattutto le donne: non ha mai lavorato il 7,5 per cento delle 30-34enni laureate contro il 38,3 per cento delle coetanee con al più la licenza media mentre è molto ridotta la differenza tra gli uomini (6,2 per cento rispetto a 8,5 per cento).
  • In Italia, nel 2022 quasi un quinto dei giovani tra i 15 e i 29 anni non studia, non lavora e non è inserito in percorsi di formazione (c.d. Neet). Il tasso italiano di Neet è di oltre 7 punti percentuali superiore a quello medio europeo e, nell’Unione europea, secondo solo alla Romania. Il fenomeno interessa in misura maggiore le ragazze (20,5 per cento) e, soprattutto, i residenti nelle regioni del Mezzogiorno (27,9 per cento) e gli stranieri, che presentano un tasso (28,8 per cento) superiore a quello degli italiani di quasi 11 punti percentuali; questa distanza raddoppia nel caso delle ragazze straniere, per le quali il tasso sfiora il 38 per cento.

La formazione e l’impiego del capitale umano

  • Tra il 2012 e il 2022, la quota di giovani tra 25 e 34 anni che hanno conseguito almeno un titolo di studio secondario superiore è cresciuta di 6 punti percentuali, raggiungendo il 78 per cento. Questa rimane però ancora di 7,4 punti al di sotto della media europea (se si considera la classe 25-64 anni, il distacco arriva a 16,5 punti). Permane lo svantaggio del Mezzogiorno (per i giovani 25-34enni la differenza con la media nazionale è di 4,7 punti percentuali al Sud e 9,1 nelle Isole), e la situazione più favorevole per le ragazze, con una quota di oltre 5 punti superiore a quella dei coetanei maschi.
  • Tra i 18-24enni, nel 2022 l’11,5 per cento ha abbandonato precocemente gli studi, senza conseguire un diploma secondario superiore. In questo caso, il distacco con l’Ue27 in un decennio si è ridotto da 4,7 punti percentuali a soli 1,9. L’incidenza degli abbandoni è superiore di oltre 4 punti tra i maschi rispetto alle femmine e, sul territorio, sfiora il 18 per cento nelle Isole.
  • Nell’anno scolastico 2021/22, quasi un giovane su 10 che hanno conseguito il diploma secondario superiore ha competenze in italiano e matematica inferiori a quelle degli studenti del secondo anno dello stesso ciclo (c.d. dispersione implicita). Si confermano le differenze di apprendimento per genere (la dispersione implicita tra ragazze è inferiore di 4,6 punti rispetto ai ragazzi) e, soprattutto, territoriali: nel Mezzogiorno la quota di dispersione implicita sfiora il 20 per cento in Campania, mentre è inferiore al 2 per cento in Trentino-Alto Adige/Sudtirol.
  • Nell’anno accademico 2021/22, l’incidenza degli immatricolati a corsi universitari sulla popolazione di riferimento dei 19enni è cresciuta di 10 punti percentuali rispetto all’anno accademico 2011/12, raggiungendo il 56 per cento; tra gli immatricolati la quota di donne si mantiene stabile intorno al 55 per cento. Circa il 30 per cento delle immatricolazioni è in corsi con orientamento scientifico-tecnologico (c.d. discipline STEM).
  • Nel 2020 il flusso di laureati in rapporto alla popolazione di età 20-29 anni è quasi in linea con la media europea: per le lauree di primo livello rappresenta il 31,3 per mille (34,3 per la Ue27), con una crescita di 7 punti rispetto al 2013; per le lauree magistrali rappresenta il 21,1 per mille in Italia e il 22,1 per mille nell’Ue27; infine, i laureati (di qualsiasi livello) in discipline STEM nel 2020 rappresentano il 16,5 per mille (1,9 punti sotto la media Ue27).
  • Nel 2022, le risorse umane in scienza e tecnologia (persone occupate in professioni qualificate e/o con un livello istruzione terziaria) rappresentano nell’Ue27 quasi la metà della popolazione attiva tra i 25 e i 64 anni e il 37,4 per cento in Italia; qui la crescita rispetto al 2011 è stata di soli 2,8 punti percentuali a fronte degli 8,4 punti in più registrati nell’Ue27. A livello territoriale, l’incidenza varia da circa il 40 per cento nel Nord-ovest e nel Centro al 30,5 per cento nelle Isole, mentre per fascia d’età raggiunge il 40,8 per cento tra le persone con meno di 35 anni, riducendosi al 34,5 per cento nella classe 55-64 anni.
  • In Italia, nel 2021 il tasso di espatrio per i laureati di 25-34 anni è pari al 9,5 per mille tra gli uomini e al 6,7 per mille tra le donne. Il fenomeno degli espatri, differenziato sul territorio nazionale, si associa col permanere di una forte migrazione di giovani qualificati dalle province del Mezzogiorno verso quelle economicamente più dinamiche del Centro e, soprattutto, del Nord, che nel complesso registrano quindi un bilancio positivo.

LE PILLOLE DEL RAPPORTO ISTAT 2023