News7 Marzo 2023 12:00

Valorizzazione Made in Italy, Tripoli (Unioncamere): dare alle camere di commercio ruolo nell’internazionalizzazione delle piccole imprese

“Questo è un tema centrale per l’Italia e la nostra economia. Il Made in Italy è un concetto da ripensare, sopratutto dopo i recenti eventi e la trasformazione economica dovuta alla variazione dei prezzi. L’export è cresciuto in modo consistente ed è una chiave di lettura per analizzare il fenomeno. Non è solo una crescita in volumi, ma anche in valore. In media il 16,5% in più negli ultimi anni, più di Francia e Germania. In particolare nell’abbigliamento, nelle pelli, nel settore legno. Questo vuol dire che i consumatori riconoscono un premium price”.

Così Giuseppe Tripoli, segretario generale Unioncamere, alla Commissione Attività produttive, in merito all’indagine conoscitiva sul Made in Italy, la valorizzazione e lo sviluppo dell’impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi.

“Il concetto però ora va allargato: i prodotti italiani vengono comprati anche per l’innovazione tecnologica e scientifica, ad esempio per il farmaceutico, all’ottica all’Ict. Anche il green è un fattore positivo. Infine il terzo elemento è l’affidabilità e la sicurezza nel livello dell’alta qualità. La nostra produzione spesso viene incorporata in altri beni, con una crescita dei beni intermedi è stata del 37%. Questo significa che il Made in Italy non è più solo associato ai prodotti tradizionali, ma ad un paniere più allargato. Questo è un punto di forza dell’imprenditoria italiano: i primi 50 prodotti esportati valgono il 29% del nostro export, mentre per gli altri paesi valgono molto di più. Questo significa maggiore flessibilità e più resistenza agli shock.

Ma allora va tutto bene? Non tutto, ad esempio le aziende esportatrici si è ridotto del 3% negli ultimi 5 anni, ma soprattutto si è ridotto il numero delle piccole imprese, calato del 4%, mentre quelle medie è cresciuto del 7%. Questo porta a tre considerazioni: il bacino delle imprese medio-grandi è legato a quelle piccole, che saranno sempre meno nel corso degli anni. Il numero di imprese che non esportano ma potrebbero, che sono tra le 44 e le 48mila unità: manca un pezzo di export che vale il 7%, tra i 40 e i 44 miliardi e sono quasi tutti piccole aziende. Infine l’export irrobustisce l’azienda, investendo un capacità sui vari sistemi. Questa quota persa è una perdita in prospettiva.

Va ripensata la strategia per l’internazionalizzazione in questi anni, grazie anche al grande lavoro dell’Ice, che però deve rivedere la propria politica per i più piccoli, che vanno affiancati. Fino al 2016 questa opera veniva fatta dalle Camere di Commercio, poi è stata vietata: questa norma non ha più senso. Per esempio la rete delle camere italiane, con le proprie forze, supporto per il 95% imprese piccole. Serve quindi eliminare questa legge e aiutare economicamente. C’è poi il problema dell’Italian Sounding, che vale circa 80 miliardi nel mondo. Le camere italiane fanno supporto di crescita nelle informazioni ai consumatori, ma potrebbe essere fatto di più, serve una rete di tutela della proprietà intellettuale più ampia, dovrebbe essere sviluppata affidandola alle Camere di Commercio.

Per sviluppare il Made in Italy serve lavorare su brand e tracciabilità, per esempio nel settore orafo, nella nautica e nel manufatturiero e anche nell’agroalimentare per i prodotti non Dop. C’è poi il bacino delle competenze professionali: vogliamo costituire un sistema di certificazione delle competenze, così da riconoscerle più facilmente. Infine segnalo la necessità di crescita della cultura digitale e quella della transizione ecologica”.